Micetti #02 - Sopravvissuti & Sopravviventi
Lista dei convocati in uscita a breve, ma le prime defezioni aumentano i dubbi invece di appianarli
Ciao, benvenuti alla seconda edizione di Micetti, la probabilmente unica newsletter in italiano sui British & Irish Lions.
Mancano 63 giorni alla prima partita del tour in Sudafrica.
Come ormai saprete se non siete troppo distratti, il prossimo 6 maggio verranno diramate le convocazioni dei 36 giocatori scelti da Warren Gatland e dal suo staff per il tour in Sudafrica.
Per l’occasione, giovedì sera troverete nel vostro inbox una edizione speciale di Micetti con la lista dei selezionati e un commento a caldo sui nomi: ci sarà sicuramente da discutere perché, inevitabilmente, qualcuno verrà lasciato fuori.
Le discussioni, ovviamente, sono già incominciate. Dal nostro Belpaese, al riparo dalle Alpi e cullati dal suono del Mediterraneo forse sentiamo solo un brusio di sottofondo, ma chi di voi ha una bolla Twitter piuttosto invasa di ovalisti anglofoni sa che sono giorni in cui ci si scorna di brutto, brutto, brutto.
D’altra parte però è anche il bello della questione, no? Dibattere, immaginare, opinare, speculare, ipotizzare: non è mica vero che solo in Italia ci sono tot milioni di commissari tecnici.
Per tenervi al passo, ecco una breve collezione di opinionisti che hanno detto la loro e una piccola carrellata di tweet dedicati alla questione della selezione.
Mike Phillips, ex mediano di mischia del Galles
15 Stuart Hogg, 14 Anthony Watson, 13 Garry Ringrose, 12 Manu Tuilagi, 11 Josh Adams, 10 Finn Russell, 9 Tomos Williams, 1 Cian Healy, 2 Ronan Kelleher, 3 Kyle Sinckler, 4 Maro Itoje, 5 Alun Wyn Jones (C), 6 Tadhg Beirne, 7 Justin Tipuric, 8 Taulupe Faletau
Stephen Ferris, ex terza linea dell’Irlanda
15 Jacob Stockdale, 14 Louis Rees-Zammit, 13 George North, 12 Robbie Henshaw, 11 Jonny May, 10 Owen Farrell (C), 9 Conor Murray, 1 Rory Sutherland, 2 Jamie George,
3 Tadhg Furlong, 4 Maro Itoje, 5 James Ryan, 6 Sam Underhill, 7 Tom Curry, 8 Taulupe Faletau
Chris Robshaw, ex terza linea e capitano dell’Inghilterra
15 Liam Williams, 14 Anthony Watson, 13 Robbie Henshaw, 12 Owen Farrell, 11 Louis Rees-Zammit, 10 Finn Russell, 9 Kieran Hardy, 1 Joe Marler, 2 Jamie George, 3 Tadhg Furlong, 4 Maro Itoje, 5 Alun Wyn Jones, 6 Taulupe Faletau, 7 Tom Curry, 8 Sam Simmonds
Dylan Hartley, ex tallonatore e capitano dell’Inghilterra
15 Stuart Hogg, 14 Anthony Watson, 13 George North, 12 Robbie Henshaw, 11 Duhan van der Merwe, 10 Dan Biggar, 9 Gareth Davies, 1 Mako Vunipola
2 Luke-Cowan Dickie, 3 Tadhg Furlong, 4 Maro Itoje, 5 Tadhg Beirne, 6 Tom Curry,
7 Hamish Watson, 8 Taulupe Faletau
Ian McGeechan, 4 volte head coach dei Lions
15 Stuart Hogg, 14 Anthony Watson, 13 Garry Ringrose, 12 Robbie Henshaw, 11 Liam Williams, 10 Finn Russell, 9 Conor Murray, 1 Wyn Jones, 2 Ken Owens, 3 Tadhg Furlong, 4 Maro Itoje, 5 Alun Wyn Jones (c), 6 Tadhg Beirne, 7 Tom Curry, 8 Taulupe Faletau
Valerio Bardi, quasi omonimo di Julien Bardy
15 Stuart Hogg, 14 Anthony Watson, 13 Garry Ringrose, 12 Owen Farrell, 11 Duhan van der Merwe, 10 Finn Russell, 9 Ben Youngs, 1 Rory Sutherland, 2 Ken Owens, 3 Tadhg Furlong, 4 Maro Itoje, 5 James Ryan, 6 Josh Navidi, 7 Tom Curry, 8 Taulupe Faletau
Lorenzo Calamai, che sta scrivendo questa newsletter
15 Stuart Hogg, 14 Anthony Watson, 13 Chris Harris, 12 Robbie Henshaw, 11 Josh Adams, 10 Owen Farrell, 9 Conor Murray, 1 Mako Vunipola, 2 Luke Cowan-Dickie, 3 Tadhg Furlong, 4 Maro Itoje, 5 Alun Wyn Jones (c), 6 Tom Curry, 7 Hamish Watson, 8 Taulupe Faletau
Al di là dei pareri degli ultimi due scappati di casa, appaiono chiare alcune scelte in comune che appaiono mettere d’accordo un po’ tutti: Stuart Hogg e Anthony Watson per il triangolo allargato, Robbie Henshaw in mezzo al campo, Maro Itoje in seconda linea, Tadhg Furlong a destra là davanti, Tom Curry e Taulupe Faletau a numero 8.
A fianco delle certezze, ci sono anche però grandi punti di domanda. Ecco i tre principali:
La coppia mediana - Il grosso della questione ruota intorno a una delle maglie più prestigiose, quella con il numero 10. Un poker di candidati: Owen Farrell, Finn Russell, Dan Biggar, Johnny Sexton. In Sudafrica ne vanno tre nella migliore delle ipotesi, ma potrebbero essere due. Farrell è il più sicuro, Russell beneficia della presenza di Townsend (nonostante tutto), Biggar quello con le quotazioni più in crescita, Sexton quello al ribasso, ma che può contare su un patrimonio di accountability non indifferente. Per accompagnare uno di questi signori c’è una gara che potrebbe vedere delle sorprese, ma che oggi vede Conor Murray come favorito: il munsterman non ha attraversato un Sei Nazioni brillante, ma ha poi fatto salire i giri del motore dimostrando di poter essere ancora il titolare.
Il numero 13 - Se Robbie Henshaw è una certezza, il nome di chi debba accompagnarlo è uno degli argomenti di maggiore dibattito. Lo stesso irlandese può adattarsi a giocare secondo centro, lasciando così la numero 12 a Owen Farrell in caso di una replica dell’impostazione di doppio play già vista nel 2017 in Nuova Zelanda. L’altro caso in cui Henshaw potrebbe scalare a 13 è una imprevista, improbabile e stuzzicante opzione che vedrebbe il non ancora del tutto redivivo Manu Tuilagi prendersi una maglia dei Lions quando ancora il suo tendine d’Achille non è stato messo alla prova dopo l’infortunio. La scelta più ovvia sarebbe quella di abbinare un altro irlandese, ricostruendo la coppia del Leinster con Garry Ringrose, che però non ha brillato in questa stagione. Un gradino sotto ci sono Chris Harris (lo scozzese è stato forse il miglior 13 del Sei Nazioni) e Henry Slade (che paga un po’ in termini di fisicità).
Il capitano - La scelta di chi porterà i gradi di capitano in Sudafrica è strumentale anche per capire qual è l’accoppiata favorita per partire in seconda linea. Alun Wyn Jones continua ad essere il favorito numero uno per il ruolo: il monumento gallese ha tutte le carte in regola, compreso un ottimo stato di forma a 35 anni suonati. Ciononostante, la maglia numero 5 è forse una delle più ambite, con James Ryan, Tadhg Beirne, Johnny Gray, Johnny Hill tutti in competizione per ottenerla. Chi sono le alternative a AWJ? Il compagno di reparto Maro Itoje è l’altro nome caldo, mentre un gradino sotto ci sono membri della linea arretrata come Stuart Hogg e Owen Farrell.
Questa breve carrellata social, conclusa da un sublime Paul Williams che ci riporta al clima che si vive Oltremanica di questi tempi, ci serve a collegarci un po’ alla cronaca.
Da una parte, più ci si avvicina all’annuncio dei 36, più saltano fuori i nomi più disparati, come nel caso di Joe Marler che sponsorizza il suo giovane asso e compagno di squadra Marcus Smith.
Dall’altra si spingono dei nomi rimasti un po’ fuori dalle cronache quotidiane, ma in effetti papabili: è il caso di Chris Harris e dello stesso Joe Marler.
Decidete voi, ad esempio, se un nome come quello del mediano di mischia di Ulster John Cooney sta nel primo o nel secondo gruppo, i disparati o i papabili.
Purtroppo ieri sera le possibilità del mediano di mischia di essere preso in considerazione sono state abbattute non solo dallo sgretolamento improvviso di Ulster nella semifinale di Challenge Cup contro i Leicester Tigers, ma piuttosto da un infortunio che si spera non grave.
Proprio gli infortuni, però, hanno mietuto alcune vittime illustri in settimana, togliendo loro la possibilità di competere per una maglia dei Lions: è il caso di George North, uno che ci sarebbe stato quasi di sicuro fra i 36, e di Joe Launchbury, che avrebbe comunque potuto dire la sua vista l’importanza del giocatore e il profilo leggermente diverso da quello delle altre seconde linee che si contendono un posto.
Per entrambi rottura del legamento crociato: peccato, e auguri di pronta guarigione.
Gli infortuni sono però qualcosa di cui dovremo comunque tenere conto da qui alla fine del tour, e modificheranno drasticamente il volto della selezione. Per il momento, però, hanno aumentato i dubbi piuttosto che rimuoverli.
A proposito di coppe europee, nell’ultima puntata di Quindici - un podcast ohvale abbiamo analizzato i possibili Lions in campo in questo fine settimana di semifinali.
Storie di Leoni: 1980
William Blackledge Beaumont, detto Bill, è il presidente di World Rugby, la federazione internazionale, rieletto per un secondo mandato lo scorso maggio.
Un successo, la sua rielezione, come costellata di successi è stata la sua carriera di giocatore, carismatica seconda linea prima che dirigente: dei 34 caps ottenuti con la nazionale inglese, Beaumont servì come capitano per ben 21 volte, prima di essere costretto al ritiro nel 1982 a causa di una serie di infortuni.
Da capitano fece in tempo ad alzare al cielo il Grande Slam dell’allora Cinque Nazioni, dopo 23 anni di digiuno dell’Inghilterra.
Era il 1980, ma quello stesso anno Bill Beaumont andò incontro anche ad uno dei più grossi fallimenti della sua carriera sportiva: il tour dei Lions in Sudafrica.
Controversie politiche
Il tour del 1980 era partito da subito sotto una cattiva luce: dal 1977, tra l’altro anno del precedente tour dei Lions in Nuova Zelanda, i paesi del Commonwealth avevano firmato un accordo, il Gleneagles Agreement, con il quale si impegnavano a scoraggiare ogni tipo di incontro sportivo con il Sudafrica dell’apartheid.
Nonostante l’opposizione del governo britannico e di quello irlandese, le quattro home unions diedero l’okay all’organizzazione del tour. Sarebbe stato l’ultimo tour di una squadra britannica in Sudafrica fino al 1997, e gli Springboks sarebbero poi stati esclusi a causa del sistema politico del loro paese dalla prima e dalla seconda coppa del mondo di rugby, tenutesi rispettivamente nel 1987 e nel 1991.
L’ultima volta che i Lions erano scesi in Sudafrica, già in regime di apartheid, era stato nel 1974, quando una squadra di leggende era scesa nell’emisfero australe per uno dei tour più mitici della storia.
Di quella squadra rimanevano in pochi: Syd Millar, ex pilone irlandese che era stato coach della spedizione del 1974, venne scelto come team manager, mentre i compiti di indirizzo tecnico vennero assunti da Noel Murphy, ex terza linea dell’Irlanda e degli stessi Lions nel 1959 e nel 1966.
Lo scozzese Andy Irvine e l’inglese Fran Cotton erano i reduci del ‘74, mentre altri otto giocatori, fra cui Beaumont, avevano fatto parte della spedizione che nel ‘77 aveva visitato la Nuova Zelanda, uscendo dalla serie sconfitti con un 3-1 meno largo delle apparenze ma avendo perso contro le Figi nel primo e unico incontro fra le due squadre.
Un altro veterano era Derek Quinnell, convocato nonostante la mancata partecipazione al Cinque Nazioni 1980, che si accompagnava curiosamente alla sua precedente convocazione nel 1971 per il tour dei Lions in Nuova Zelanda, senza aver ancora mai guadagnato nessun cap internazionale.
Le nuvole sul tour del 1980 si addensarono ulteriormente quando incominciarono ad accumularsi gli infortuni, in un calendario peraltro pieno di impegni, visto che prevedeva 18 partite in dieci settimane. Otto giocatori rientrarono alla base in seguito ad un infortunio. Due di questi, Stuart Lane e Rodney O’Donnell dovettero chiudere la loro carriera in seguito agli infortuni patiti. Lane riuscì a giocare soltanto 55 secondi della partita di apertura del tour, prima di vedere il suo cursus honorum interrompersi.
Vittorie e sconfitte
Certe partite contano certamente più di altre. La selezione dei leoni britannici del 1980 vanta l’invidiabile record di essere rimasta imbattuta durante tutte le dieci settimane di durata del tour, almeno per quanto riguarda i warm-up matches.
Meno invidiabile invece la serie contro gli Springboks, persa per tre a uno dopo aver rischiato il secondo whitewash: di tornare, cioè, a casa senza aver nemmeno ottenuto una vittoria.
Vittoria che giunse solamente all’ultimo incontro del tour, a Pretoria, con un sudato 13 a 17 figlio delle mete di Clive Williams, John O’Driscoll e Andy Irvine.
Sul campo di patate di Città del Capo, i Lions subiscono 5 mete da parte degli avversari, ma riescono a tenersi vicini nel punteggio grazie al piede di Tony Ward: finirà 26 a 22, ma il divario fra le due squadre risulta assai più evidente dalle immagini.
Anche se lo scarto di punteggio nei precedenti test era sempre stato contenuto, il Sudafrica era riuscito a sconfiggere piuttosto agilmente i Lions nelle prime due partite, battendo la selezione in rosso poi anche la terza volta per soli due punti grazie al piede del mito Naas Botha, stella della squadra e mediano di apertura non solo del Northern Transvaal (gli antenati dei Blue Bulls) ma anche della Rugby Rovigo negli anni a venire.
I Lions subirono 9 mete nelle prime due partite, marcandone solamente 3. La superiorità tecnica e atletica degli avversari fu impressionante, contraddistinta dagli elementi tipici del gioco sudafricano: grandi pedate ad alzare in cielo il pallone mettendo in difficoltà la linea arretrata avversaria e un gioco rude, al limite del violento, del pacchetto degli avanti, che imponeva la propria forza su chi stava di fronte.
Non solo Naas
Il mediano d’apertura della nazionale sudafricana non era l’unico astro di una serie che annoverava da una parte e dall’altra personaggi di eccezionale caratura, si può dire una vera e propria fucina di personaggi che, in un modo o nell’altro, hanno segnato una generazione della palla ovale.
La selezione britannica vantava la presenza di Clive Woodward. Il centro inglese, poi campione del mondo da head coach nel 2003, avrebbe partecipato anche alla successiva spedizione nel 1983.
Il medico del tour era Jack Matthews, internazionale gallese a cavallo della seconda guerra mondiale e Lions nel 1950, che con Bleddyn Williams aveva formato una delle coppie di centri più temibili del secondo dopoguerra. Personaggio sportivo ammantato nella leggenda, legato non solo al rugby ma anche al pugilato. Mentre stazionava alla base della RAF di St Athan nel 1943, Matthews costrinse al pareggio in un incontro di boxe nientemeno che Rocky Marciano, il mitico pugile americano mai sconfitto in un incontro professionistico e futuro campione del mondo.
Matthews che fino alla fine, fra l’altro, non rinunciò a dire la sua a proposito dello sport che aveva amato: nel 2005, all’indomani del fallimentare tour dei Lions in Nuova Zelanda, non esitò a criticare duramente i metodi di allenamento proprio di Woodward.
Gallese era invece il centro gallese Ray Gravell, occasionalmente ala, successivamente capitano dei Dragoni, e nel tempo libero bardo, ammesso a far parte del Gorsedd of Wales, una prestigioso circolo di bardi moderni al quale ebbe accesso per il suo contributo poetico e musicale alla lingua gallese, come abbiamo raccontato nella prima puntata di Micetti.
Il gruppo irlandese annoverava fra i suoi otto componenti Tony Ward, mediano di apertura convocato come rimpiazzo in seguito all’infortunio di Gareth Davies e divenuto poi miglior marcatore della serie.
Ward, oggi editorialista dell’Irish Independent, si distinse a tal punto per il pregevole gioco al piede durante la sua carriera ovale, da giocare anche per il Limerick United, squadra di calcio che disputò la Coppa UEFA 1981 e vinse la coppa di lega irlandese la stagione successiva.
La squadra Springbok era invece un crogiuolo di talenti di cui la palla ovale è rimasta pressoché orfana a livello internazionale per colpa delle scellerate politiche di segregazione razziale del paese. Oltre a Naas Botha, quella nazionale annoverava Rob Louw, uno dei primi stranieri a giocare in Italia, vincendo con l’Aquila lo scudetto 1981. Louw vinse per cinque volte consecutive la Currie Cup da flanker di Western Province, distinguendosi per la eccezionale rapidità. Faceva coppia con Theuns Stofberg, altro terza linea veloce e fisicamente straripante.
La terza linea era completata da uno dei migliori capitani che il Sudafrica abbia avuto, il numero 8 Morné du Plessis, già veterano del tour del 1974. Sotto il suo capitanato, gli Springboks persero solo due delle quindici partite disputate.
La sua carriera si interruppe per sua stessa volontà nel 1981, a 32 anni, dopo la morte del compagno di squadra Chris Burger, il cui infortunio al collo durante un match di Currie Cup gli costò la vita. Du Plessis, personaggio irriverente e particolare, considerato un ribelle nei corridoi conservatori del rugby sudafricano, figlio di Felix, che fu a sua volta capitano Springbok nel 1949 battendo gli All Blacks per tre volte consecutive, ha successivamente dedicato i suoi sforzi al Chris Burger Fund, fondazione per la tutela dei giocatori vittima di gravi infortuni.
A condividere con lui il lancio della monetina c’era dall’altra parte Bill Beaumont, il primo capitano inglese dei Lions dal 1930, reduce da un inaspettato Grande Slam con l’Inghilterra. Un inatteso perdente, all’unica vera grande sconfitta della sua vita da capitano, leader di una ciurma insufficiente, sulle cui teste si era addensato un pesante circolo di nubi sin dalla partenza.
Nel frattempo, in Sudafrica
Incomincia la Rainbow Cup per le franchigie sudafricane. Non sarà quello che volevamo dalla competizione, ma rimane pur sempre l’ultima occasione disponibile per vedere all’opera quegli Springboks che non sono di stanza in Europa o in Giappone.
Sabato 1 maggio si giocano Stormers-Sharks e Bulls-Lions. Chi ci sarà in campo da tenere d’occhio? Nella prima gara Damian Willemse e Curwin Bosch, sui lati opposti della barricata, sono due delle possibili alternative a Handré Pollard se il numero 10 non ce la dovesse fare a rimettersi in forma per tempo. La notizia, però, è che l’apertura tornerà in campo in Challenge Cup: sarà in panchina per Montpellier contro Bath sabato sera.
Per gli Stormers torna in campo Pieter-Steph du Toit dopo un lungo stop, mentre fra gli Sharks vedremo per la prima volta all’opera Siya Kolisi, che ha cambiato casacca.
Meno goloso il secondo match, dove ritroviamo l’ex Wasp Nizaam Carr, una possibile new entry degli Springboks per luglio.
Chiudiamo qui, ché di carne al fuoco ce n’è parecchia. Ricordatevi l’appuntamento con l’edizione speciale di Micetti di giovedì 6 maggio, e nel frattempo passate sui canali social di Ohvale per postare il vostro immancabile XV dei Lions.