La partita è finita 19-16.
La serie si è chiusa sul 2-1.
Hanno vinto gli Springboks, ancora una volta grazie a un calcio piazzato di Morné Steyn, che a 37 anni è tornato in nazionale per ripetere quanto compiuto dodici anni or sono, quando nel secondo test mise il sigillo finale sull’incontro e sulla serie.
Un grande modo di riscrivere il finale della sua personale storia: il mediano di apertura dei Bulls e dello Stade Français aveva lasciato la nazionale nel 2016. La sua ultima partita era stata l’8 ottobre, a Durban, contro gli All Blacks: la peggiore sconfitta su suolo sudafricano nella storia degli Springboks, 15-57.
La sua storia assomiglia un po’ a quella di Schalk Brits, il tallonatore dei Saracens richiamato da Rassie Erasmus dopo essersi ritirato per portare in gruppo un esempio, un talismano, un grande vecchio che potesse mostrare la via. E così è stato alla Rugby World Cup 2019, e così è stato per il Lions Tour 2021.
Dove si è deciso il terzo test
Dopo 160 minuti, finalmente abbiamo visto una partita con un po’ di rugby in più, almeno dal punto di vista del gioco.
Forse addossare tutti i meriti sulle spalle di un ottimo Finn Russell, entrato con il piglio giusto dopo appena 11 minuti per un infortunio a Dan Biggar, è eccessivo. Tuttavia le due cose hanno coinciso: da quando il 10 scozzese ha messo piede in campo, i Lions hanno provato a utilizzare il pallone in modo più continuativo, senza per questo prendersi rischi inutili.
Russell ha giocato una partita ottima. Non ha sbagliato niente, senza perdersi in eccessivi protagonismi. Qualcosa che ha imparato negli ultimi anni al Racing 92 e che ha portato anche in nazionale scozzese: non è solo lui a dover trascinare una squadra intera.
Il sollievo per una partita che non è stata solamente un susseguirsi di calci a campanile (che pure non sono mancati) fa da contraltare a una gara dove il tempo di gioco effettivo è stato bassissimo: 26 minuti e 22 secondi, contro i 30 delle prime due partite. Tenete conto che il Sei Nazioni di quest’anno ha avuto una media di oltre 38 minuti di ball in play, la RWC2019 superava i 35.
Il fatto che si sia giocato così poco è andato certo a favore degli Springboks, ma la partita si è decisa sull’incapacità dei Lions di mettere punti in cascina nelle occasioni avute, in particolare nel primo tempo.
Il due contro uno di Liam Williams
Sul 10 a 3 l’estremo gallese riceve questo splendido passaggio di Finn Russell e avrebbe la possibilità di fissare Le Roux e mettere un finalizzatore come Josh Adams in un binario indifeso con 22 metri da percorrere a velocità lanciata: quasi una meta fatta.
Liam Williams è stato coinvolto in due situazioni decisive della partita: l’errore qui sotto e il mancato placcaggio di Kolbe sulla meta che ha ribaltato l’incontro. La prima situazione è piuttosto grave, sulla seconda ha francamente poche vere responsabilità. La sua prestazione in altre circostanze è stata peraltro perfetta, in particolare sulle palle alte, dove ha confermato con i fatti la risposta data a un giornalista alla vigilia dell’incontro: “Chi pensi che sia il migliore del mondo sulle palle aeree?” “Ce l’hai di fronte.”
La mischia chiusa ai 30 metri
Al 31’ i Lions hanno un’occasione quasi unica nella serie. Una mischia stabile, dalla quale estraggono un pallone pulito per innescare una strike move che però non viene giocata per il meglio da Ali Price.
Price si rifugia certamente nella scelta più semplice, ma va anche notato che il passaggio a Finn Russell avrebbe richiesto una grandissima esecuzione da parte del 9 e del 10 per liberare quel pallone all’esterno sulla salita sparata di Makazole Mapimpi.
L’azione peraltro funziona comunque nel destabilizzare la difesa avversaria: sulle conseguenze dell’azione Maro Itoje riuscirà a trovare un ottimo break, entrando in profondità nei 22 metri avversari. Un sublime placcaggio di Cheslin Kolbe e un altrettanto fantastico gesto di Damian de Allende conquisteranno un calcio di punizione per il Sudafrica.
Tom Curry sabota la maul
Dopo aver segnato su un drive da rimessa laterale, i Lions ci riprovano più volte. Al 28’ sembrano trovare il giusto abbrivio, ma uno sconsiderato fallo di Tom Curry permette ai Boks di uscire gratis di prigione.
La rimessa laterale rubata
Anche alla fine del primo tempo i Lions tornano nell’angolo per provare a segnare ancora, convinti che la via per battere gli avversari sia affrontarli a viso aperto senza compromessi.
Etzebeth però qui fa un vero e proprio miracolo rubando il pallone da dietro dopo due difese in cui gli Springboks non avevano contestato, e il lancio di Ken Owens è un gesto tecnico un po’ scarso: quel pallone su un blocco davanti, senza opposizione, deve arrivare diretto, mentre la parabola è arcuata e lenta.
Fatto sta che sono queste le principali quattro occasioni in cui i Lions non riescono a portare a casa punti quando avrebbero dovuto (c’è anche un tenuto alto in area di meta con una mischia conseguente che termina con un calcio a favore degli Springboks), tutte nel primo tempo.
Non riuscire a chiudere con un vantaggio maggiore di 4 punti una prima frazione dominata (per contesto, 70% di possesso e 74% di territorio) ha lasciato la squadra di Warren Gatland in balia degli episodi.
E nella ripresa l’episodio si è materializzato con le sembianze di Cheslin Kolbe.
Si poteva fare meglio
Sarà l’argomento principale dei media rugbistici britannici per le prossime settimane e, perché no, per i prossimi quattro anni: i British & Irish Lions erano in qualche modo chiamati a fare qualcosa di più.
Pur con tutte le difficoltà che normalmente un tour comporta e con quelle portate da una pandemia globale che in Sudafrica continua a picchiare forte, la sconfitta contro una squadra ferma da due anni o quasi è deludente.
Ma non è solo una questione di risultati: la storia dei Lions dice che è più facile perderli che vincerli, i tour. È che le prime due partite sono state francamente brutte e i Lions non hanno espresso niente dopo settimane di preparazione.
Gli occhi di tutti erano ancora pieni della strepitosa serie di 4 anni fa in Nuova Zelanda: bellissima, avvincente, un gigantesco spot per il gioco.
E non facciamoci ingannare dal fatto che l’estetica voglia la sua parte ma sia slegata rispetto ai risultati: non è così. La possibilità di vincere la serie i Lions ce l’hanno avuta quando hanno preso tra le mani il coraggio di giocare, ma forse gli errori nelle scelte nei piccoli momenti decisivi vengono anche da un avvicinamento alla serie che non è stato ottimale.
Da una parte le squadre delle franchigie sudafricane depauperate dei giocatori internazionali si sono rivelate di un livello troppo basso per poter competere negli warm up match, dall’altra i Lions non hanno mostrato pressoché niente in quelle partite, ma pertanto non hanno neanche costruito qualcosa su cui poter contare una volta che il gioco si è fatto duro.
Tributi
Anche in una serie che forse non resterà negli annali per lo spettacolo a cui abbiamo assistito, il livello degli incontri è comunque stato altissimo e abbiamo potuto più volte allargare le braccia e affondare un po’ di più il culo nel divano per affermare convinti quanto è forte Coso.
Lukhanyo Am
È difficile estrarre dei migliori da una squadra dove il collettivo è così importante come il Sudafrica, ma Am si è definitivamente affermato come uno dei numeri 13 più forti del mondo (e scrivendo questa frase non riesco a pensare a qualcuno di migliore).
Sembra in nazionale da una vita ma ancora non è arrivato a 20 caps, eppure è uno dei leader della squadra, il capitano in assenza di Siya Kolisi.
Di lui brilla la parte difensiva, la capacità di leggere con grande lucidità e intelligenza le intenzioni dell’attacco avversario unita a un placcaggio terminale, ma pur non avendo l’eleganza di altri interpreti (Henry Slade) o la loro pura potenza (Jonathan Davies) è un giocatore di prima qualità anche in fase offensiva, con un grande QI ovale.
Maro Itoje
A 26 anni è il più forte seconda linea al mondo, e questa serie lo ha definitivamente certificato.
Su di lui è stata posta l’etichetta di giocatore troppo falloso, quando non ha mai ricevuto un cartellino nel rugby internazionale.
In Sudafrica ha dimostrato di avere tutto: forza bruta, grande saltatore e responsabile della rimessa laterale, capacità di forzare il turnover nel punto d’incontro, di portare avanti il pallone, di leggere le situazioni e di saper rimanere sempre con la testa fredda nell’innumerevole quantità di occasioni in cui è stato provocato dagli avversari. Solo lui e Robbie Henshaw hanno giocato tutti e 240 i minuti della serie.
Sarebbe una sorpresa non vederlo capitano fra 4 anni.
Alun Wyn Jones
“Ho già ricevuto alcune bacchettate perché mi commuovo troppo. Fanculo, se mi commuovo. È per quanto ci tengo” ha detto in conferenza stampa Alun Wyn Jones, prima di scusarsi ripetutamente per il linguaggio utilizzato.
Facile comprendere le lacrime agli occhi di questo giocatore, con tutto quello che ha passato per esserci, per il suo record di 12 test consecutivi con i Lions che nessuno ha raggiunto.
Nessuno ha mai raggiunto neanche 160 presenze internazionali e questo dovrebbe dare la misura non solo della statura del personaggio, ma anche e soprattutto del giocatore, troppo spesso sottovalutato quando si parla di grandissimi.
Facciamogli una statua da qualche parte in Galles e non se ne parla più.
Trevor Nyakane
Gioca 40 minuti come pilone destro nel primo test prima di venire sostituito. Quella partita poi viene persa, la sua prestazione rimane piuttosto in ombra.
Nelle due settimane successive entra come pilone sinistro ed entrambe le volte guadagna i calci di punizione decisivi per portare a casa la vittoria nella serie.
Semplicemente, non c’è un altro giocatore in questo momento sul pianeta rugby che abbia questa capacità di adattarsi e di performare ad alto livello in entrambe le posizioni come questo immenso signore.
43 caps in 8 anni, una sola meta, eppure il Sudafrica gli deve una bella fetta dei due titoli più importanti dell’ultimo decennio abbondante.
Cheslin Kolbe
In chiusura
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Un piccolo viaggio, un esperimento tutto sommato riuscito e un mucchietto di propositi per il futuro: grazie a tutti quelli che hanno aperto le email, hanno cliccato sugli innumerevoli link o sono arrivati qui solamente grazie alla pubblicità sui social.
Se tutto va bene, ci vediamo fra quattro anni.
Lorenzo Calamai