Micetti #03 - Leoni contro Leoni
Cambia il calendario del tour. In più, due parole più approfondite sulle scelte dello staff
Ciao,
benvenuti alla terza (in realtà quarta) edizione di Micetti.
C’è una novità: il calendario del tour in Sudafrica è stato modificato a causa della situazione sanitaria che permane nel paese, limitando il numero di spostamenti.
Si giocherà solo a Città del Capo, a Johannesburg e a Pretoria, dove è previsto un solo incontro.
I Lions inizieranno il tour contro i Lions, nel senso della franchigia sudafricana. Inizialmente non prevista in calendario, la squadra del Gauteng è stata reinserita al posto della selezione South Africa Invitational, e questa sembra tutto sommato una buona notizia: sarà più interessante una partita contro una vera e propria squadra che una sfida contro una selezione tutta da inventare e da mettere in piedi all’improvviso.
Lions vs Lions sarà la nuova partita di avvio del tour il prossimo 3 luglio. Quasi certamente tutte le partite del tour saranno a porte chiuse: nonostante la federazione sudafricana tifi per la riapertura dell’ultimo secondo, il governo non sembra intenzionato ad accordare l’autorizzazione.
La partita del 26 giugno contro il Giappone a Murrayfield potrebbe essere invece aperta ai tifosi fino al 25% della capienza dello stadio di Edimburgo.
Il nuovo calendario
Sabato 3 luglio
Lions v Lions – Ellis Park, Johannesburg
Mercoledì 7 luglio
Sharks v Lions – Ellis Park, Johannesburg
Sabato 10 luglio
Bulls v Lions – Loftus Versfeld, Pretoria
Mercoledì 14 luglio
Sudafrica A v Lions – Green Point Stadium, Città del Capo
Sabato 17 luglio
Stormers v Lions – Green Point Stadium, Città del Capo
Sabato 24 luglio
Sudafrica v Lions – Green Point Stadium, Città del Capo
Sabato 31 luglio
Sudafrica v Lions – Soccer City, Johannesburg
Sabato 7 agosto
Sudafrica v Lions – Soccer City, Johannesburg
Storie di Leoni: Un pioniere
Alun Wyn Jones si unisce all’incredibile club di chi ha disputato 4 tour dei Lions. Solo due giocatori ne hanno disputati 5, eccone uno.
Willie John McBride, capitano dei Lions in Sud Africa nel leggendario tour del 1974 degli Invincibles, colonna della nazionale irlandese, ha partecipato a cinque tour dei Lions, più di ogni altro giocatore.
Più di ogni altro giocatore tranne Cameron Michael Henderson Gibson, ai più noto come Mike, altra colonna del rugby irlandese proprio negli stessi anni di Willie John.
Nel 2011 Mike Gibson è stato ammesso nella Hall of Fame della palla ovale. Syd Millar, suo compagno sul campo nella spedizione neozelandese dei Lions del 1971, lo ha indicato come esempio sul campo, ma soprattutto al di fuori di esso, incarnazione dei valori simbolo di questo sport.
Fare la storia
Nel 1968 i Lions di Tom Kiernan, capitano anch’egli irlandese e in seguito coach del Munster che entrò nella storia battendo gli All Blacks, scendono in Sud Africa. Sulla loro strada vincono 15 dei 16 incontri di warm-up ai quattro test che li vedono opporsi ai locali, inclusa la nazionale rhodesiana, oggi Zimbabwe.
Il tour si conclude però con un sonoro 3–0 in favore dei padroni di casa, con i Lions che riescono ad accaparrarsi soltanto un pareggio. Gibson ha già 26 anni, è al suo secondo tour dopo quello di soli due anni prima (il ritmo dei tour era più rapsodico alla fine degli anni Sessanta) in Australia e Nuova Zelanda.
Se il tour del 1966 si era contraddistinto per essere il primo dove i Lions venivano allenati da un vero e proprio coach, invece che solo da un cosiddetto assistant manager, quello del ’68 fu il tour dove venne utilizzata per la prima volta una sostituzione in una partita di rugby.
Dopo soli 15 minuti dal calcio di inizio del primo test a Johannesburg, infatti, Barry John prende la decisione di attaccare in prima persona, cercando la meta che porti in vantaggio i suoi, ma il placcaggio duro del temibile terza linea sudafricano Jan Ellis lo fa atterrare malamente con tutto il peso su una spalla: frattura della clavicola.
Entra in campo al suo posto Mike Gibson, che avrebbe poi mantenuto il posto di mediano di apertura per il resto del tour, giocando i tredici match successivi. Gibson, infatti, principalmente schierato durante la sua carriera a primo centro, possedeva un set di abilità e una visione di gioco da renderlo parimenti un mediano di apertura di estro ed efficacia.
L’incubo dei kiwi
Gibson non è dotato di una particolare forza fisica, eppure viene ricordato spesso come uno dei migliori placcatori della sua generazione, anche se a dire il vero la sua carriera ne ha attraversate almeno un paio di generazioni ovali irlandesi.
Affidabilità e versatilità le parole chiave per capire un giocatore che nella sua carriera internazionale è stato impiegato in quattro ruoli diversi. Uno di quei giocatori la cui intelligenza e maturità hanno avuto il sopravvento sulle doti fisiche, seppure l’arma migliore di Mike Gibson fosse la sua velocità abbinata a una grande capacità di cambiare direzione senza perdere impeto.
Il terzo tour dei Lions per il quale viene convocato è quello che lo consacra come leggenda. È il 1971: il Galles ha vinto il Grande Slam e dominato il Cinque Nazioni, le convocazioni dei Lions sono giustamente zeppe di giocatori dei Dragoni, in particolar modo nella backline. La mediana è in mano a Gareth Edwards e Barry John, l’estremo è JPR Williams e il secondo centro è il capitano della spedizione, John Dawes.
L’unico a scalfire la dominazione gallese è Mike Gibson, titolare con la maglia numero 12 per tutti i quattro test che vedono la spedizione britannica battere per la prima e unica volta nella storia gli All Blacks. Colin Meads, capitano neozelandese: “la presenza di Gibson fra i trequarti dei Lions è stata la più frustrante di tutte”.
Il tour del ’71 è rimasto nella leggenda: gli All Blacks sono strafavoriti, e i Lions possono godere di quella trascuratezza mediatica che a volte viene riservata a certi underdogs. Il 26 giugno i Lions tendono un’imboscata agli avversari, battendoli per 9 a 3 al Carisbrook di Dunedin, il mitico stadio chiuso nel 2011, tanto caro ai tuttineri che, per le numerose vittorie ottenute su quel campo, lo avevano soprannominato retoricamente The House of Pain. Al piede di Barry John e alla meta (valevole tre punti ai tempi) di McLauchlan, il pilone scozzese meglio conosciuto come The Mighty Mouse, i meriti di espugnare cotanto fortino.
La Nuova Zelanda non si fa sorprendere due volte, e a Christchurch infligge una sonora lezione per cinque mete a due ai leoni, due settimane dopo il primo test. Ne passano altre tre, di settimane, prima della terza sfida: i Lions giocano quattro partite e le vincono tutte, arrivando carichi e in forma alla gara decisiva, che infatti vincono nettamente. Il 13 a 3 di Wellington sancisce la superiorità britannica, che grazie alla meta di Dixon nel quarto test il 14 di agosto, valevole per impattare il quarto e ultimo test, viene definitivamente certificata dallo storico 2 a 1.
Cinquina e tombola
Una delle caratteristiche salienti di Mike Gibson, lo si vede dai video che lo ritraggono in riprese degli anni Settanta, è la consapevolezza, la flemma e la lucidità con la quale si approccia alla palla ovale. Una consapevolezza del proprio ruolo avanti con i tempi, precorritrice di un professionismo lungi da venire, quando ancora il rugby era la lotta di trenta ragazzi un po’ aristocratici e un po’ suonati in un campo di patate per afferrare una bislunga pezza di cuoio.
In quel momento storico ovale a metà dei Settanta, assumere un coach personale per migliorare lo scatto e la corsa era un gesto assolutamente fuori dal normale, quasi snob. Eppure la rapidità e il cambio di passo di Gibson ne hanno fatto la fortuna come il miglior irlandese dell’epoca pre-professionistica, e la sua longevità come giocatore è senz’altro dovuta anche all’approccio serio e coscienzioso verso la propria attività.
Una longevità unita ad un carattere particolare, umile seppur cosciente dei propri mezzi, che gli è valsa la convocazione per altri due tour dei Lions. Quello degli invincibili leoni del 1974 in Sudafrica, dove ritrovava al suo fianco tanti compagni di tre anni prima e come capitano Willie John McBride. I suoi giorni da titolare inamovibile però, erano terminati: la coppia composta dallo scozzese Ian McGeechan, leggenda Lions, e da Dick Milliken, sfortunato erede di Gibson costretto a ritirarsi nel ’75 per infortunio dopo sole 15 presenze internazionali, aveva preso il sopravvento.
Gibson non trovò spazio nei quattro test contro il Sudafrica, ma fu una chioccia perfetta per i giovani che vestivano la maglia rossa per la prima volta. Per lo stesso motivo, ormai 35enne, Gibson viene chiamato a far parte della nuova spedizione in Nuova Zelanda del ’77, stavolta bastonata dai padroni di casa.
Quello del 1977 fu il tour che gli permise di raggiungere Willie John a quota cinque tour dei Lions, unici due giocatori nella storia ad esserci riusciti, ognuno con il suo carattere, uno più burrascoso e carismatico, l’altro più umile, eppure guizzante tanto dentro quanto fuori dal campo.
Quali Lions aspettarsi
Nella puntata speciale di Micetti dello scorso 6 maggio non abbiamo avuto il tempo di approfondire un po’ sui temi delle scelte operate da Warren Gatland e dal suo staff nella scelta dei giocatori, che non sono state prive di sorprese. Facciamolo adesso.
Quasi tutti i commentatori sono stati unanimi nel dire una cosa forse un po’ banale, ma che merita di essere comunque sottolineata: Warren Gatland non ha scelto i migliori Lions possibili ruolo per ruolo. Ha scelto un gruppo specifico con capacità ben delineate, quelli che ritiene i giocatori più adeguati a giocare un rugby con caratteristiche adatte a mettere in difficoltà i campioni del mondo in carica e cercare di portare a casa l’obiettivo: il terzo tour consecutivo con un esito positivo.
Non succede dal 1899, quando i Lions vinsero in Australia sull’onda di due tour vittoriosi in Sudafrica nel 1891 e nel 1896.
Fra il 1950 e il 1959 ci sono state tre serie positive (Australia-Sudafrica-Australia), ma sia il tour del ‘50 che quello del ‘59 prevedevano serie anche contro la Nuova Zelanda, e dagli All Blacks i Lions ne hanno prese in entrambe le occasioni.
Che rugby aspettarci allora dai British & Irish Lions questa estate? Dando un’occhiata al pacchetto di mischia, possiamo notare alcune cose.
Per prima cosa i tre numeri 8 selezionati: Conan, Faletau e Simmonds hanno in comune la caratteristica di essere ball carriers molto a loro agio negli spazi allargati, giocatori che danno il loro meglio quando impiegati su un lato del campo nelle classiche strutture di gioco in voga negli ultimi anni, al contrario di altre terze centro più classiche come possono essere Greg Alldritt o Billy Vunipola.
Il reparto di terza linea è completato da due flanker di energia e workrate come Hamish Watson e Tom Curry, che sono anche i due giocatori con le più spiccate caratteristiche da jackler (oltre a Tadhg Beirne), e da un altro grande atleta capace di giocare alla grande negli spazi allargati come Justin Tipuric, il ché potrebbe far supporre che Gatland abbia pensato a una distribuzione 1-3-3-1 o 1-3-2-2 per i suoi avanti, con il numero 8, Tipuric, Curry, George o Owens a interpretare il ruolo di fringe players, i giocatori dispiegati intorno ai 15 metri laterali.
I compiti di portare avanti il pallone nelle parti centrali del campo saranno allora appannaggio delle prime linee, di alcune delle seconde e dei centri, ed ecco perché il reparto muscolare con Bundee Aki, Robbie Henshaw e Chris Harris, preferiti agli Henry Slade e Garry Ringrose di questo mondo.
Le seconde linee si dividono grosso modo in due gruppi: da una parte i freak fisici e atletici come Maro Itoje, Johnny Hill e Courtney Lawes, ma anche il già citato Beirne in una certa misura. Giocatori che oltre a un atletismo fuori dal comune hanno uno skillset molto ampio. Al loro fianco, dall’altra parte, quelli che definiremo con tutta la stima del mondo gli sgobboni. Giocatori fisici come Alun Wyn Jones e Iain Henderson, destinati a sobbarcarsi grandi moli di lavoro nel punto d’incontro.
In mediana tre numeri 9 capaci di giocare al servizio della propria apertura e tre numeri 10 molto assertivi, che tendono a imporre il proprio gioco alla squadra, offrendo però tre stili di gioco molto diversi tra loro. Personalmente, non credo che Owen Farrell sia in tour per fare il centro, anche se sarà una possibilità che lo staff esplorerà nelle partite contro le province.
Dietro la parola chiave è flessibilità, con giocatori capaci di offrire cose diverse: l’accelerazione di Rees-Zammit contro la potenza di van der Merwe, l’elusività di Anthony Watson contro la lineare completezza di Josh Adams, ma quel che è certo è che tutti sono abilissimi in aria e nessuno ha paura di sporcarsi le mani, compreso il capitano della Scozia e il giocatore con il peso specifico più vicino a quello del diamante: Liam Williams.
Sarà quindi una squadra incredibilmente atletica, più esplosiva che potente, intenzionata a giocare un rugby rapido e intelligente. Lo sentite anche voi il treno dell’hype che fischia in alto la sua colonna di vapore?
Chiudiamo qui. Micetti ritorna il prossimo 29 maggio con un’altra infornata di news, riflessioni e storie. Nel frattempo, come sempre, passaparola!